La tematica delle distanze tra costruzioni è una delle più “frequentate” del diritto privato.
Come noto, l’art. 873 c.c. (ed i regolamenti locali cui la norma rimanda), prevede che le costruzioni su fondi confinanti debbano trovarsi ad una distanza minima, allo scopo, si dice tradizionalmente, di evitare il crearsi di insalubri interstizi tra un edificio e l’altro.
L’art. 878 c.c. stabilisce invece che il muro di cinta (muro non più alto di 3 metri avente le facce isolate) non debba essere considerato ai fini del calcolo delle distanze. Capita spesso che i fondi confinanti si trovino a diverso livello. Il dislivello può essere naturale o frutto dell’opera umana. Nel primo caso, l’eventuale muro di sostegno non viene comunque considerata una “costruzione” ai sensi dell’art. 873 e quindi non deve rispettare le distanze ivi previste.
Se il dislivello è stato creato dall’uomo, allora il muro che sostiene il terrapieno creatosi è, a tutti gli effetti, un muro di fabbrica, insomma una costruzione rilevante ai fini del calcolo delle distanze.
Cosa accade però se il costruttore mantiene un certo distacco tra il terrapieno e il muro?
Muro di fabbrica o, in questo caso, muro di cinta? Il terrapieno è una costruzione?
Il caso è stato analizzato dalla Suprema Corte ( Sez. II, Sent., 13/05/2013, n. 11388) che è giunta alla conclusione per cui l’eventuale separazione tra il terrapieno e il muro non è di ostacolo a che il terrapieno artificiale venga qualificato come costruzione, dovendo essere edificato a distanza regolamentare. Il muro in questo caso non è un semplice muro di cinta, ma è funzionale a garantire protezione dalla pericolosità statica del riporto di terra, in tutti quei casi in cui non sia stata rispettata la cd. distanza di scarpa (o solonica) di cui all’art. 891 c.c.