Nuova frontiera nella disciplina delle intercettazioni mediante il cd captatore informatico: il trojan o spyware in grado di infettare un dispositivo (smartphone, tablet o pc) e di accedere a tutta la sua attività (comunicazioni telefoniche, mail, chat, foto, Skype, navigazione web, file) nonché di attivare microfono e videocamere per effettuare intercettazioni ambientali.Le S.U. della Corte di Cassazione penale, il 28 aprile scorso, con sentenza n. 6889 hanno ammesso l’utilizzabilità del virus trojan come mezzo di ricerca della prova. L’apertura della Suprema Corte non è stata totale preferendo una delimitazione dell’operatività di tale strumento alle sole indagini inerenti i delitti di criminalità organizzata e terrorismo. Si assiste così ad un totale rovesciamento dell’indirizzo giurisprudenziale affermato con sent. N. 27100/2015, nella quale si affermava l’inutilizzabilità di tale strumento.
Occasione per la nuova pronuncia è stata l’ordinanza della VI Sez. Pen. Cass. n. 13844 con la quale i giudici di legittimità a fronte di un ricorso in Cassazione per “vizio di motivazione ed errata applicazione di legge”- inerente all’utilizzabilità ai fini della valutazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per l’applicazione di una misura cautelare – hanno ritenuto di non condividere il pregresso orientamento.
Il problema principale, che si è tentato di risolvere con la stessa sentenza a sezioni unite, è quello di una difficile compatibilità del virus informatico autoinstallante con la privacy dell’indagato (art. 15 Cost.) da una parte e con la disciplina delle intercettazioni (art. 266 ss. c.p.p.) dall’altra. In particolar modo il virus permettendo non solo la captazione occulta di conversazioni telefoniche o telematiche, ma anche l’intercettazione di comunicazioni tra presenti è assimilabile all’intercettazione di tipo ambientale. Ed è qui che è nato il contrasto giurisprudenziale. Nell’indirizzo precedente si affermava l’inutilizzabilità del trojan data l’impossibilità di coniugare la sua natura “itinerante” con le esigenze di determinazione e specificazione, nel decreto di autorizzazione, del luogo in cui svolgere la captazione occulta. Oggi, invece, in relazione alla gravità dei reati – Art. 416 bis. e art. 270 bis. del codice penale-, ricollegando la necessità della determinazione del luogo di captazione alla tutela del domicilio, e affermando la presenza dello stato di eccezione della legge 12 luglio 1991, n. 203, dapprima la VI Sez. e poi le Sezioni Unite hanno considerato come ammissibile tale mezzo di ricerca della prova.
In fin dei conti, il giudice di legittimità si è trovato a operare un difficile bilanciamento tra esigenze investigative e i diritti inviolabili di domicilio e di segretezza della corrispondenza. Un indirizzo non suscettibile a critiche, per il quale si auspica un intervento legislativo in materia.
Federico Melis