La possibilità di passare dallo stato di detenzione a quello di libertà può dipendere dal livello di glucosio nel sangue dei magistrati.Questa è la triste realtà che emerge da una ricerca condotta da Shai Danziger e Liora Avnaim-Pesso dell’università israeliana Ben Gurion del Negev, e Jonathan Levav della Columbia University di New York.
Lo studio, pubblicato sulla nota rivista scientifica statunitense “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, si è basato sull’esito di 1.112 richieste presentate dai detenuti delle quattro maggiori prigioni israeliane che avevano richiesto di ottenere misure meno afflittive rispetto alla detenzione carceraria.
Si è proceduto ad analizzare i provvedimenti emessi dai giudici tenendo conto del tempo trascorso dalla quotidiana pausa-ristoro. Orbene, per quanto inverosimile possa apparire, si è riscontrata una percentuale del 65% di sentenze favorevoli quando emesse subito dopo la suddetta pausa: le percentuali favorevoli alle richieste del detenuto invece si riducevano drasticamente man mano che ci si allontanava dal momento della consumazione della colazione .
Altra interessante costante registrata dallo studio in questione è il tempo impiegato dai magistrati per ogni decisione e persino il numero di parole adottate. In media, infatti, per una delibera favorevole sono stati calcolati 5,2 minuti per un totale di 90 parole, mentre per quelle sfavorevoli 7,4 minuti con un numero di sole 47 parole utilizzate per spiegare la motivazione del mantenimento del regime carcerario. Tali esiti non venivano influenzati neppure dalla difficoltà del caso, infatti questi rimanevano praticamente immutati anche di fronte a casi di recidivi potenziali o di condannati che non seguivano un programma di riabilitazione.
Il destino dei detenuti sembrerebbe pertanto essere rimesso al livello di glucosio nel sangue dei magistrati o comunque a variabili che poco si attagliano a criteri sui quali dovrebbero essere basate importanti decisioni giudiziarie.