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Spaccio di 200 dosi di cocaina: la strategia difensiva per estinguere il reato

 

Due ragazzi, poco più che ventenni, sono stati accusati dello spaccio di circa 200 dosi cocaina.

Arrestati in flagranza dai Carabinieri, la Pubblica Accusa aveva contestato ai due ragazzi il reato di spaccio che prevede una pena che arriva a 20 anni di reclusione.

L’attività difensiva del nostro studio si è concentrata sul dialogo con il Pubblico Ministero per convincerlo nel contestare un reato meno grave al nostro assistito e così consentire la richiesta di un rito speciale che porterebbe all’estinzione del reato.

Un piccolo spoiler: questa è una storia a lieto fine, quindi da leggere fino alle conclusioni.

 

SOMMARIO

1. I fatti secondo le indagini dei carabinieri

1.1. Le perquisizioni personali e locali e il ritrovamento della sostanza stupefacente

1.2. I sequestri probatori, l’arresto in stato di flagranza e la misura cautelare degli arresti domiciliari

2. Dalla caserma al tribunale

2.1. Il giudizio direttissimo

2.2. L’udienza di convalida dell’arresto

3. La strategia difensiva

3.1. Il dialogo con il Pubblico Ministero per la riqualificazione del reato

3.2. Il doppio fine della difesa: derubricare il reato per la richiesta di messa alla prova

3.3. L’udienza per la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova

4. Conclusioni (a lieto fine)

 

 

1. I FATTI SECONDO LE INDAGINI DEI CARABINIERI

Durante un servizio finalizzato alla repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope operato dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia dei Carabinieri di Viterbo, in abiti civili e con autovetture di copertura, venivano fermati due ragazzi, poco più che ventenni.

 

1.1. LE PERQUISIZIONI PERSONALI E LOCALI E IL RITROVAMENTO DELLA SOSTANZA STUPEFACENTE

Gli operanti, dopo un breve pedinamento, procedevano a fermare un’Audi, accostandola sul lato sinistro ed intimando l’alt mediante l’utilizzo di dispositivi sonori e luminosi oltre che con la paletta in dotazione. Sul luogo interveniva in ausilio la pattuglia in uniforme, il cui equipaggio prendeva parte alle operazioni che seguivano.

Gli operanti identificavano i due occupanti dell’autovettura: il conducente e il passeggero.

Secondo i Carabinieri, nel corso delle normali operazioni di controllo e identificazione, entrambi i soggetti avevano assunto un atteggiamento nervoso e circospetto, divenendo contraddittori circa le circostanze di tempo e di luogo, in particolar modo sulla loro provenienza. Infatti, interpellati separatamente l’uno dall’altro, un ragazzo riferiva di essere proveniente da una cena presso un paese di provincia, l’altro ragazzo diceva che provenivano da un altro paese.

Sempre nel corso delle preliminari operazioni, gli operanti notavano una palese sofferenza di uno dei due ragazzi, il passeggero dell’autovettura. Questa tentava continuamente di toccarsi in prossimità delle parti intime.

A tal punto, i Carabinieri richiedevano di esibire eventuale sostanza stupefacenti, con riscontro negativo da parte dei ragazzi. Così, ritenuto fondato il motivo che sulla loro persona o nel veicolo potesse essere celata sostanza stupefacente, i soggetti ed il veicolo venivano condotti presso gli Uffici del Nucleo dei Carabinieri.

Una volta giunti in caserma, si procedeva alla perquisizione personale e dell’autovettura.

Prima dell’inizio della perquisizione, uno dei due ragazzi, il trasportato, informava gli operanti di detenere un cospicuo quantitativo di sostanza stupefacente celato nelle parti intime.

Invitato a consegnarlo, il ragazzo estraeva dalle proprie mutande il seguente stupefacente:

  • 1 involucro di cellophane di colore trasparente con chiusura ermetica contenente n. 119 (centodiciannove) involucri di cellophane, di colore bianco, termosaldati singolarmente riportanti su ognuno di essi la dicitura “2”, contenenti rispettivamente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo COCAINA ed aventi il peso ciascuno al lordo della confezione di: 0,40 – 0,35 – 0,40 – 0,37 – 0,40 – 0,35 – 0,35 – 0,38 – 0,40 – 0,40 – 0,36 – 0,35 – 0,40 – 0,45 – 0,40 – 0,40 – 0,38 – 0,40 – 0,40 – 0,45 – 0,35 – 0,36 – 0,41 – 0,38 – 0,34 – 0,40 – 0,40 – 0,40 – 0,55 – 0,40 – 0,44 – 0,37 – 0,40 – 0,40 – 0,38 – 0,40 – 0,38 – 0,38 – 0,35 – 0,40 – 0,35 – 0,35 – 0,34 – 0,58 – 0,37 – 0,35 – 0,37 – 0,38 – 0,40 – 0,40 – 0,38 -0,36 – 0,36 – 0,43 – 0,35 – 0,41 – 0,38 – 0,38 – 0,37 – 0,37 – 0,41 – 0,38 – 0,39 – 0,38 – 0,40 – 0,35 – 0,36 – 0,40 – 0,38 – 0,40 – 0,38 – 0,37 – 0,42 – 0,30 – 0,40 – 0,39 – 0,40 – 0,41 – 0,38 – 0,42 – 0,39 – 0,41 – 0,35 – 0,40 – 0,38 – 0,41 – 0,38 – 0,38 – 0,39 – 0,42 – 0,38 – 0,38 – 0,40 – 0,39 – 0,37 – 0,39 – 0,41 – 0,38 – 0,40 – 0,37 – 0,39 – 0,40 – 0,41 – 0,42 – 0,38 – 0,37 – 0,39 – 0,44 – 0,41 – 0,41 – 0,39 – 0,39 – 0,43 – 0,41 – 0,37 – 0,39 – 0,40 – 0,36 – 0,37;
  • 1 (uno) involucro di carta pubblicitaria avvolto con nastro isolante di colore nero contenente n. 20 (venti) involucri di cellophane, di colore bianco, termosaldati singolarmente, riportanti su ognuno di essi la dicitura “2”, contenenti rispettivamente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo COCAINA ed aventi il peso ciascuno al lordo della confezione di: 0,38 – 0,40 – 0,35 – 0,38 – 0,38 – 0,29 – 0,38 – 0,38 – 0,40 – 0,38 – 0,35 – 0,35 – 0,35 – 0,30 – 0,35 – 0,38 – 0,32 – 0,30 – 0,36 – 0,15;
  • 1 (uno) involucro di carta pubblicitaria avvolto con nastro isolante di colore nero contenente 20 (venti) involucri di cellophane, di colore bianco, termosaldati singolarmente, riportanti su ognuno di essi la dicitura “2”, contenenti rispettivamente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo COCAINA ed aventi il peso ciascuno al lordo della confezione di: 0,42 – 0,29 – 0,38 – 0,39 – 0,41 – 0,39 – 0,42 – 0,36 – 0,37 – 0,39 – 0,41 – 0,33 – 0,39 – 0,37 – 0,35 – 0,40 – 0,39 – 0,42 – 0,35 – 0,37;
  • 1 (uno) involucro di carta pubblicitaria avvolto con nastro isolante di colore nero contenente n. 20 (venti) involucri di cellophane, di colore bianco, termosaldati singolarmente, riportanti su ognuno di essi la dicitura “2”, contenenti rispettivamente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo COCAINA ed aventi il peso ciascuno al lordo della confezione di: 0,37 – 0,36 – 0,39 – 0,39 – 0,40 – 0,36 – 0,41 – 0,39- 0,37 – 0,37 – 0,29 – 0,39 – 0,40 – 0,37 – 0,37 – 0,40 – 0,35 – 0,37 – 0,35 – 0,40;
  • 1 (uno) involucro di carta pubblicitaria avvolto con nastro isolante di colore nero contenente n. 20 (venti) involucri di cellophane, di colore bianco, termosaldati singolarmente, riportanti su ognuno di essi la dicitura “2”, contenenti rispettivamente sostanza stupefacente verosimilmente del tipo COCAINA ed aventi il peso ciascuno al lordo della confezione di: 0,30 – 0,35 -0,40 – 0,41 – 0,34 – 0,40 – 0,35 – 0,35 – 0,38 – 0,36 – 0,41 – 0,38 – 0,38 – 0,37 – 0,34 – 0,39 – 0,31 – 0,40 – 0,42 – 0,34.

In seguito, gli operanti procedevano con la perquisizione:

  • prima la perquisizione personale dei due ragazzi. Entrambi venivano trovati in possesso dei rispettivi cellulari, ma solo uno dei due forniva il codice di sblocco; così gli agenti procedevano a sottoporre il cellulare dell’altro ragazzo a sequestro probatorio, avendo fondato motivo che potesse contenere materiale di interesse investigativo;
  • successivamente, la perquisizione dell’autovettura, che si concludeva con esito negativo;
  • infine, sentito e informato il Sostituto Procuratore della Repubblica, si procedeva con le perquisizioni locali delle abitazioni dei due ragazzi, che si concludevano con esito positivo, rinvenendosi qualche grammo di sostanza stupefacente di tipo hashish e di tipo marijuana.

 

1.2. I SEQUESTRI PROBATORI, L’ARRESTO IN FLAGRANZA E LA MISURA CAUTELARE DEGLI ARRESTI DOMICILIARI

La sostanza del tipo cocaina, nascosta da un ragazzo nelle sue mutande, veniva dagli operanti immediatamente sottoposta a sequestro probatorio ex art. 354 c.p.p.

Anche l’altra sostanza stupefacente, ritrovata dopo l’ulteriore perquisizione locale, dopo il preliminare accertamento narcotest, veniva sottoposta a sequestro probatorio.

Alla luce dei fatti descritti, i due ragazzi venivano dichiarati in stato di arresto, in quanto gli operanti ritenevano sussistente il requisito della flagranza del reato. In tale circostanza veniva consegnata copia della comunicazione contenente le informazioni circa i diritti nei procedimenti penali.

Il Pubblico Ministero di turno, informato dell’arresto, disponeva che gli arrestati venissero sottoposti alla misura degli arresti domiciliari presso la propria abitazione, in attesa dell’udienza di convalida ed eventuale rito per direttissima.

 

2. DALLA CASERMA AL TRIBUNALE

Ecco il seguito della storia processuale.

 

2.1. IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO

In seguito all’arresto dei due ragazzi, si è svolta l’udienza mediante il rito speciale del giudizio direttissimo: infatti, in questi casi (si tratta di situazioni di evidenza qualificata della prova) non si tiene l’udienza preliminare e il processo si instaura su iniziativa esclusiva del PM.

Così i ragazzi, ora imputati e in stato di arresto, venivano presentati, nelle 48 ore successive all’arresto, direttamente al Giudice del dibattimento, il quale decide se convalidare o meno l’arresto nella cosiddetta “udienza di convalida”:

  • se l’arresto è convalidato si procede contestualmente alla celebrazione del giudizio direttissimo;
  • in mancanza di convalida, il giudice restituisce gli atti al PM, salvo che le parti prestino il consenso al giudizio.

 

2.2. L’UDIENZA DI CONVALIDA DELL’ARRESTO

All’udienza di convalida, il Giudice del dibattimento sentiva l’agente di Polizia Giudiziaria che ha svolto le operazioni e leggeva gli atti di indagine. Si ritirava in camera di consiglio per assumere la sua decisione e, tornato in aula, leggeva l’ordinanza:

Rilevato che il quantitativo, per il dato ponderale e per la suddivisione in dosi deve ritenersi destinato allo spaccio e che l'arresto appare legittimamente eseguito in flagranza del reato (gli arrestati sono stati dichiarati in arresto alle ore 22.55 a seguito del rinvenimento dello stupefacente avvenuto nei locali della Compagnia e delle perquisizioni domiciliari effettuate dopo tale rinvenimento e quindi anch'esse in flagranza di reato);

Sentito il PM che ha richiesto la convalida dell'arresto per entrambi e l'applicazione nei confronti di un solo ragazzo della misura degli arresti domiciliari;

sentito il difensore di quest’ultimo che si è opposto alla convalida ritenendo non sussistente la flagranza di reato e quanto alla misura cautelare ha chiesto l'applicazione di una misura non detentiva, quale l'obbligo di presentazione alla PG svolgendo il giovane attività di muratore in nero ed essendo quindi l'acquisto dello stupefacente non derivato da precedente spaccio;

sentito il difensore dell’altro che si è opposto alla convalida ritenendo insussistente la flagranza di reato;

rilevato che dagli atti dell'arresto, dai verbali di perquisizione e sequestro nonché dalla relazione dell'operante di PG devono ritenersi sussistenti i presupposti per procedere all'arresto, da valutarsi ex ante da parte del Giudice, in considerazione della quantità di sostanza rinvenuta, della suddivisione in dosi singole dello stupefacente sequestrato a seguito del controllo operato su strada;

ritenuta la sussistenza della flagranza avendo la PG operato l'arresto subito dopo il rinvenimento dello stupefacente e l'espletamento delle perquisizioni domiciliari (ora di inizio delle operazioni presso il comando 22.05; dichiarazione di arresto 22.55 senza soluzione di continuità nella attività di PG);

rilevato inoltre che quanto ai capi b) e c) deve procedersi a convalida rilevandosi la gravità del fatto necessaria per l'arresto facoltativo in flagranza dall'avere rinvenuto lo stupefacente di cui al capo a);

rilevato che sono stati rispettati i termini per la convalida;

rilevato quanto alla misura cautelare richiesta dal PM per un solo ragazzo che lo stesso ha un precedente specifico ravvicinato nel tempo; che non risulta svolgere attività lavorativa (la dichiarazione della difesa difforme da quanto ha dichiarato l’arrestato non è corroborata da alcun elemento concretizzante); che il quantitativo non è particolarmente modesto e che appare ragionevolmente concreto il pericolo di reiterazione del reato;

rilevato tuttavia che non può escludersi che nel futuro giudizio la fattispecie possa essere riqualificata ai sensi dell’art. 73 co. 5 DPR 309/90 e che tuttavia non appare prognosticabile allo stato attuale la concessione della sospensione condizionale della pena, tenuto conto della gravità della condotta

PQM

CONVALIDA l’arresto di entrambi gli imputati per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 73 co. 1 e 75 co. 5 DPR 309/90;

DISPONE l’immediata liberazione di un ragazzo (quello che guidava l’autovettura);

APPLICA all’altro ragazzo (quello che deteneva la cocaina nelle mutande) la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicare con persone diverse da quelle che con lui convivono, da eseguirsi presso la residenza o nel luogo che lo stesso vorrà indicare alla PG;

DISPONE procedersi a giudizio direttissimo per i reati indicati.

Riassumendo la decisione del Giudice: l’arresto veniva convalidato e soltanto al ragazzo che teneva la droga nelle mutande venivano dati gli arresti domiciliari, quindi l’altro ragazzo rimaneva libero.

A questo punto, prima di iniziare il giudizio direttissimo (dunque il processo vero e proprio), gli avvocati di entrambi i ragazzi chiedevano al Giudice un termine per preparare la difesa ai sensi dell’art. 451, co. 6 c.p.p.

Il Giudice concedeva circa 20 giorni agli imputati e ai loro difensori per valutare la strategia difensiva da attuare, rinviando così l’udienza dibattimentale.

 

3. LA STRATEGIA DIFENSIVA

Il Giudice aveva concesso 20 giorni per decidere la propria strategia difensiva.

Il nostro Studio aveva assunto la difesa del ragazzo che conduceva l’autovettura, ma che di fatto non aveva addosso nessuna sostanza stupefacente; soltanto all’esito della perquisizione presso la sua cameretta venivano rinvenuti pochi grammi di hashish e marijuana.

Subito ci siamo messi al lavoro per tutelare le ragioni del nostro assistito e costruire la migliore difesa.

La nostra strategia era questa: convincere la Procura che il reato da ascrivere al nostro assistito non fosse il primo comma dell’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (che punisce produzione, detenzione e traffico di droga con una pena che arriva fino a 20 anni di reclusione). Invece, la corretta qualificazione della sua condotta sarebbe da ricondurre al quinto comma dello stesso articolo (che prevede l’ipotesi di lieve entità, con una pena molto inferiore che arriva al massimo a 4 anni di reclusione).

 

3.1. IL DIALOGO CON IL PUBBLICO MINISTERO PER LA RIQUALIFICAZIONE DEL REATO

La nostra difesa (rimodulare l’accusa dal primo al quinto comma dell’art. 73) era sostenuta da diversi profili fattuali e giuridici che abbiamo prontamente esposto al Pubblico Ministero titolare del procedimento.

Infatti, come emerso dalle indagini e all’esito dell’udienza di convalida, le condotte degli imputati assumevano caratteri differenti: mentre l’altro ragazzo aveva attivamente posto in essere la condotta incriminata (ha organizzato e partecipato all’incontro con lo spacciatore, ha nascosto all’interno delle sue mutande la sostanza stupefacente, si è rifiutato di offrire alla P.G. il suo pin d’accesso al cellulare, si è avvalso della facoltà di non rispondere), invece il nostro assistito si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato (era all’oscuro dell’acquisto illecito, non ha in alcun modo partecipato allo scambio di droga, ha da subito collaborato con la P.G., anche consentendo il controllo del proprio cellulare risultato negativo, ha reso spontanee dichiarazioni affermando che non fosse a conoscenza delle finalità illecite).

La nostra argomentazione era sostenuta anche da consolidata giurisprudenza di legittimità.

Invero, la Cassazione aveva affermato il principio per cui «in tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico può essere ascritto ad un imputato ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e ad un altro a norma dell’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R. qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenti per ciascun correo» [1].

Inoltre, proprio con riguardo al caso del conducente dell’autovettura dove viene trasportata droga da un altro soggetto, la stessa Corte sostiene che «per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato» [2].

Alla luce di ciò, si chiedeva che la condotta del nostro assistito, semplice conducente dell’autovettura, venisse ascritta alla sola fattispecie di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, considerando altresì l’esperibilità di riti alternativi da avanzare perentoriamente fino a 7 giorni dalla prossima udienza, così come disposto dal Giudice nell’udienza di convalida.

 

3.2. IL DOPPIO FINE DELLA DIFESA: DERUBRICARE IL REATO PER LA RICHIESTA DI MESSA ALLA PROVA

Conquistata la derubricazione del reato nella fattispecie di lieve entità, era ora possibile chiedere al Giudice del dibattimento l’accesso al rito alternativo della messa alla prova.

Infatti, il lavoro di questa difesa non era fine a se stesso.

Andiamo per gradi.

La sospensione del processo con messa alla prova (artt. 168-bis e ss. c.p.) consente all’imputato, evitando l’iter ordinario del processo penale, di svolgere per un dato periodo dei lavori di pubblica utilità. Accertato l’esito positivo della prestazione non retributiva in favore della collettività, il reato si estingue.

Tra i diversi limiti alla richiesta di messa alla prova, vi è quello della pena prevista per il reato per cui si procede: massimo 4 anni di reclusione.

Infatti, al tempo di questo caso, l’imputato poteva chiedere la messa alla prova solo per reati con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p.

Il reato per cui si procedeva (art. 73, co. 1, T.U. Stupefacenti), così come inizialmente contestato dal Pubblico Ministero, è punito con la pena della reclusione da 6 a 20 anni.

Pertanto, se il limite edittale per richiedere la messa alla prova era di 4 anni, di certo tale richiesta non avrebbe trovato riscontro positivo da parte del Giudice.

Ma la strategia difensiva era ben chiara, sin dall’inizio

Il dialogo con il Pubblico Ministero – per ottenere una diversa contestazione di una norma penale che prevedesse una pena più bassa – aveva una finalità ulteriore: consentire al nostro assistito l’accesso all’istituto della messa alla prova, ottenendo il beneficio di estinguere il reato.

Infatti, dopo il nostro intervento difensivo, la Pubblica Accusa si era convinta a ridefinire il caso in una disposizione di legge (art. 73, co. 5, T.U. Stupefacenti) che prevede una pena molto più lieve: da 6 mesi a 4 anni di reclusione.

In questo modo, essendo il massimo della pena prevista di 4 anni, si rientrava nella possibilità di accedere alla messa alla prova.

 

3.3. L’UDIENZA PER LA RICHIESTA DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA

Arrivava il giorno dell’udienza.

Il Pubblico Ministero, convinto dalle argomentazioni di questa difesa, derubricava il reato nel delitto di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. n. 309/1990.

La nostra difesa, d’accordo col nostro assistito, proponeva dunque la richiesta di messa alla prova.

Il Pubblico Ministero esprimeva il suo parere favorevole.

Pertanto, il Giudice, dopo aver valutato il programma di trattamento elaborato dall’U.E.P.E. (Ufficio Esecuzione Penale Esterna), ammetteva la richiesta di messa alla prova e sospendeva il processo.

4. CONCLUSIONI (A LIETO FINE)

Dopo una sfibrante ma appagante attività difensiva, eravamo riusciti a realizzare la nostra strategia: da una contestazione di concorso nel reato di spaccio di 200 dosi di cocaina con una pena che arriva fino a 20 anni di reclusione alla derubricazione nella fattispecie di lieve entità.

In questo modo, il nostro assistito ha potuto accedere alla messa alla prova e, una volta svolto il lavoro di pubblica utilità per 6 ore settimanali in 4 mesi, il reato sarà estinto.

Ciò significa che il nostro assistito non riceverà nessuna condanna, di alcun tipo, e inoltre il suo casellario giudiziario rimarrà all’oscuro di questa storia.

 

 

RIFERIMENTI

 [1] Cass. pen., Sez. III, sent. 20/02/2020, n. 16598 (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione della ipotesi di lieve entità per il venditore della sostanza perché, a differenza del compratore, aveva contatti stabili e continuativi con i grandi canali di approvvigionamento).

[2] Cass. pen., Sez. IV, sent. 10/12/2013, n. 4383 (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del concorso nella condotta di un soggetto che, consapevole dell’altrui detenzione illecita, era alla guida dell’autovettura a bordo della quale viaggiavano due persone che nascondevano indosso la droga).

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