Dare vita a feroci litigi davanti ai propri figli costituisce reato: è la
Cassazione, con una recente pronuncia, a ravvisare in tale condotta il reato di maltrattamenti in famiglia.
Il fatto
La Corte di Cassazione, VI sezione penale, si è pronunciata con sentenza n. 18833/2018 su un ricorso presentato da una donna, condannata in concorso con il compagno, per il reato di maltrattamenti in famiglia.
Secondo i giudici di legittimità i figli della donna avrebbero assistito a continui litigi tra i i genitori, diventando di fatto spettatori passivi di fronte “alle reiterate manifestazioni di reciproca conflittualità nell’ambito del rapporto di convivenza”.
La donna, però, nel ricorso ha precisato che i minori non sono mai stati direttamente oggetto di aggressioni o soprusi né di violenza psicologica.
Questo non è bastato alla Corte, secondo la quale i minori sono stati comunque vittime di “violenza assistita”, in quanto costretti ad assistere in maniera passiva alle brutali liti tra i genitori.
Il reato sussiste anche qualora i feroci litigi si siano protratti per un periodo relativamente breve e non vi siano segni di disagio familiare nei piccoli, come evidenziato nel caso di specie dal consulente tecnico della Procura.
Gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti in famiglia. Quando si configura?
Il reato di maltrattamenti in famiglia è previsto dall’art. 572 del nostro codice penale.
Il bene giuridico tutelato dalla norma è l’integrità psicofisica di tutti i componenti della famiglia.
Per famiglia si intende qualsiasi consorzio di persone tra le quali , per intime relazioni di vita, sono sorti legami di reciproca assistenza e protezione.
Presupposto del delitto in esame, pertanto, è che tra il soggetto attivo e quello passivo sussista un rapporto di familiarità ovvero un rapporto disciplinare nel senso indicato dalla norma.
La condotta si sostanzia nel perpetrare maltrattamenti: si tratta, quindi, di una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno, realizzati in momenti successivi, sorretti dalla volontà di ledere l’integrità fisica e il patrimonio morale del soggetto passivo.
Costituiscono maltrattamenti non solo le percosse, le lesioni, le minacce, le ingiurie, ma anche atti di offesa alla dignità del soggetto passivo.
Proprio per tale motivo i giudici di legittimità hanno ritenuto che il delitto di maltrattamenti possa configurarsi anche quando gli episodi vessatori coinvolgano solo indirettamente i figli minori: assistere a brutali litigi all’interno delle mura domestiche potrebbe comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita e di sviluppo degli stessi.
La stessa Cassazione ricorda come sia ormai opinione consolidata nella scienza psicologica che i bambini, anche molto piccoli, addirittura sin da feti, siano in grado di percepire tutto quello che li circonda e, dunque, di comprendere e assorbire tutti gli accadimenti violenti, soprattutto le violenze subite dalla madre, con importanti conseguenze sullo sviluppo della loro personalità.
In questo caso trattandosi di un maltrattamento subito in via indiretta, sarà necessario provare rigorosamente che proprio tale condotta abbia cagionato una sofferenza di natura psico- fisica nei minori.
Nel caso di specie, però la Corte d’Appello, non ha verificato l’effettiva valenza maltrattante del rapporto conflittuale tra i genitori, limitandosi a riportare le conclusioni del consulente tecnico.
Nelle more il reato si è estinto per prescrizione, non rendendosi, dunque, necessario un annullamento della sentenza con rinvio.
Avv. Simona Vettori
Officina Lex Studio Legale