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LE NUOVE FRONTIERE SULL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO E DI DIVORZIO

22 Marzo 2018Autore: admin

In base alle recenti statistiche in Italia dal 2015 ci si sposa di più ma, al contempo, complice anche la legge sul divorzio breve, si è registrata un’impennata dei divorzi.

Cerchiamo di fare luce su una materia così complessa, soggetta a continue evoluzioni giurisprudenziali che cercano di adeguare l’intepretazione normativa al cambiamento dei costumi e della società.

In particolare ci concentreremo su quelli che sono gli effetti giuridico- patrimoniali della disgregazione del vincolo matrimoniale ed i nuovi paramentri indicati dalla giurisprudenza per la determinazione dell’assegno di divorzio e dell’assegno di mantenimento.

Che cos’è l’assegno divorzile?

In base a quanto disposto dall’art. 5, comma VI L. 898/1970 a seguito di una sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale può porre a carico di un coniuge l’obbligo di versare periodicamente un assegno a favore dell’altro, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

L’assegno di mantenimento  e l’assegno divorzile sono la stessa cosa?

Anche se nell’uso comune vengono spesso confusi, è opportuno chiarire che l’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento sono due istituti ontologicamente distinti, caratterizzati dalla diversità delle discipline sostanziali, della struttura e delle rispettive finalità.

L’assegno di mantenimento, infatti, viene disposto dal giudice in seguito alla separazione personale dei coniugi, laddove ne ricorrano le condizioni, e concerne un periodo di mera transizione della vita della coppia in crisi.

L’assegno di mantenimento ha una funzione assistenziale: permette al coniuge di far fronte alle sopravvenute esigenze di vita, una vita nuova, non più condotta all’interno del nucleo familiare.

Il giudice, invece, può ordinare la corresponsione dell’assegno di divorzio soltanto in presenza di una sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quindi nei casi in cui i coniugi abbiano manifestato la volontà di addivenire ad una rottura definitiva della relazione.

L’assegno divorzile ha una funzione assistenziale/ solidaristica, ciò significa che tale somma versata periodicamente serve ad evitare, che in seguito alla disgregazione definitiva del nucleo familiare, il coniuge economicamente più debole possa subire un ulteriore deterioramento delle proprie condizioni patrimoniali.

Come può essere corrisposto l’assegno divorzile?

La somma che il coniuge obbligato è tenuto a versare può essere corrisposta periodicamente o anche in un’unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale.

In questo caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

Quale iter segue il giudice per la determinazione dell’assegno?

Con riferimento alla determinazione dell’assegno divorzile la sentenza della Corte di Cassazione n. 2546/2014 ha, per molti anni, rappresentato una pietra miliare in tale settore del diritto.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ribadiva la necessità di dover operare una duplice valutazione ai fini della concessione dell’assegno:

1. verificare in astratto la sussistenza del diritto all’assegno di mantenimento, facendo riferimento in particolare alla inadeguatezza dei mezzi o alla impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (es. disabilità) ed operare un conseguente raffronto con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (criterio non più attuale vedi infra), determinando il quantum delle somme necessarie al coniuge per far fronte alla inadeguatezza dei propri mezzi;

2. porre in essere una verifica in concreto dell’assegno divorzile, valutando i criteri previsti dall’art. 5 della L. 898/1970 tra cui: le condizioni dei conugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personaleo comune durante il matrimonio, i redditi di entrambi e la durata del vincolo matrimoniale.

Evoluzione dei parametri di riferimento. Il principio della autoresponsabilità

Con la sentenza n. 11504/2017 la Corte di Cassazione sembra voler attivare una rivoluzione copernicana in materia: i giudici di legittimità hanno indicato, quale nuovo parametro di riferimento, cui raffrontare l’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge, il principio di indipendenza economica.

Con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue, sicchè ogni riferimento ad esso, ai fini della valutazione della sussitenza del diritto all’assegno di mantenimento, sembra contrastare con la natura giuridica dell’istituto e configuarare una indebita ultrattività di tale vincolo.

Si cerca quindi di ancorare il diritto all’assegno divorzile alla persona intesa come singolo e non come parte di un rapporto giuridico, per evitare, quindi, un ingiustificato prolungamento del diritto a percepire tali somme.

Tale principio deriva da una applicazione in via analogica della disciplina codicistica prevista in tema di mantenimento di figli maggiorenni, ma non ancora economicamente sufficienti (art. 337 septies I comma c.c.).

Afferma la Corte, infatti, “il parametro della “indipendenza economica” – se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione («assegno periodico») dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 cod. civ.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30, comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento, all’istruzione ed alla educazione -, a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all’assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge – quindi, dalla piena riacquisizione dello status individuale di “persona singola” – e dalla mancanza di una garanzia costituzionale specifica volta all’assistenza dell’ex coniuge come tale”.

Invero, anche la ratio dell’art. 337-septies, primo comma, cod. civ. – come pure quella dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, alla luce di quanto già osservato – è ispirata al principio dell’autoresponsabilità economica.

Tale principio è applicabile al divorzio in quanto esso segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi – irrilevante, sul piano giuridico, se consapevole o no – delle relative conseguenze anche economiche.

La Cassazione ha anche individuato una serie di elementi da cui dedurre l’autosufficienza economica del soggetto richiedente l’assegno, tra cui:

1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;

2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza (“dimora abituale”: art. 43 c.c. , comma 2) della persona che richiede l’assegno;

3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;

4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Pertanto, la Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto.

“Il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell’ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:

A) deve verificare nella fase dell’an debeatur – informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”, ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio fatto valere dall’ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;

B) deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur – informata al principio della «solidarietà economica» dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro in quanto “persona” economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell’assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[….] condizioni dei coniugi, [….] ragioni della decisione, [….] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [….] reddito di entrambi [….]»), e “valutare” «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.)”.

Chi deve provare “l’indipendenza economica”?

Quanto al regime della prova della non “indipendenza economica” dell’ex coniuge che fa valere il diritto all’assegno di divorzio, non v’è dubbio che, secondo la stessa formulazione della disposizione in esame e secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”.

Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell’”indipendenza economica”, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro (cfr. art. 4, comma 10, della legge n. 898 del 1970).

Il possesso di redditi e di cespiti formerà oggetto di prove documentali, fermo restando la facoltà del giudice di avvalersi della polizia giudiziaria per effettuare indagini officiose.

Ciò che sarà oggetto di valutazione saranno, soprattutto, “le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale” . Quest’ultime formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative.

Questo nuovo parametro vale anche per la determinazione dell’assegno di mantenimento?

Con una recente ordinanza della Corte d’Appello di Roma depositata in data 5 dicembre 2017, la giurisprudenza sembrerebbe orientata ad abbandonare il criterio del precedente tenore di vita vissuto in costanza di matrimonio anche in sede di separazione personale dei coniugi.

Questo anche in ragione della riduzione dei tempi tra la separazione ed il divorzio: sarebbe irragionevole una differenza tra i parametri di riferimento e, di conseguenza, una netta separazione tra i due istituti.

E per i figli minori?

Secondo la giurisprudenza di legittimità il diritto di conservare il precedente tenore di vita vale, invece, per i figli minori che dovranno essere mantenuti dai genitori considerando le capacità reddituali e patrimoniali dei coniugi.

Alla luce delle nuove aperture giurisprudenziali, pertanto, il coniuge richiedente potrà vedersi negato l’assegno di divorzio e di mantenimento se gode di una indipendenza economica, valutata dal giudicante in base alla capacità e alle possibilità effettive di lavorare, a prescindere, quindi, dal tenore di vita avuto dalla coppia durante il matrimonio.

 

A cura di

dott.ssa Simona Vettori

 

 

 

 

 

 

 

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