Una recente sentenza della Suprema Corte ritorna su una querelle che perdura da tempo.
Si tratta della interpretazione dell’art. 10 del D. Lgs. 74/2000, norma che, anche a seguito della recente riforma del 2015 (salvo un “ritocco” delle pene edittali), continua ad incriminare la condotta di chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.
Al di là del caso di scuola della distruzione materiale della contabilità esistente, ci si è chiesti spesso se il reato sia integrato anche dalla condotta del soggetto che ometta del tutto di istituire le scritture contabili obbligatorie. La stessa corte di Cassazione ha avuto un atteggiamento ondivago; Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01/12/2011) 23-01-2012, n. 2698, ad esempio, ha affermato che per incorrere nella sanzione sia sufficiente anche la omessa tenuta delle scritture.
Appare maggiormente apprezzabile la lettura resa dalla recenziore Cass. pen. Sez. III, 03-06-2015, n. 28581. La sentenza precisa che l’omessa istituzione è condotta punita mediante una sanzione amministrativa e non integra invece la fattispecie di rilievo criminale prevista dal D. Lgs. sopra citato. Mediante una interpretazione letterale della norma, che si fa prediligere perché rispettosa dei principi cardine del sistema penale (tassatività e frammentarietà, oltre che legalità), la corte regolatrice ha spiegato come il reato di cui all’art. 10 presupponga l’istituzione delle scritture contabili, per cui, venendo meno il presupposto della avvenuta istituzione, non può darsi il delitto.
Ovviamente sono da valutare in disparte le conseguenze sanzionatorie in cui possa incorrere, anche in materia di reati cd. fallimentari, chi ometta di tenere la contabilità: ricordiamo infatti che le scritture contabili sono imposte dalla legge non tanto nell’interesse dell’imprenditore tenutario (che, grazie alla contabilità, può avere i riferimenti per la gestione della sua attività) quanto, e soprattutto, nell’interesse dei terzi (creditori e fisco, ad esempio) che coll’imprenditore vengano in contatto e compiano attività negoziale.
La questione giuridica rimane ancora aperta, in attesa del consolidarsi di un orientamento sul punto o di una pronuncia delle Sezioni Unite.
Avv. Pietro Laici